Il lavoro intermittente
“Ti chiamo solo quando ne ho bisogno”. Con questo slogan potrebbe essere descritta una delle tipologie di rapporto tra le più flessibili previste dal nostro ordinamento. E’ infatti possibile stipulare un contratto di lavoro intermittente – tanto a tempo indeterminato quanto a termine – con uno o più lavoratori, che possono essere “chiamati” da parte del datore di lavoro solo nel caso in cui se ne presenti la necessità.
Lavoro intermittente, contratto a chiamata, job on call, con questi nomi si identifica quello specifico tipo di rapporto di lavoro, particolarmente adatto allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo (o, appunto, intermittente), disciplinato dagli articoli 34 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Tale particolare tipologia contrattuale è ammessa in presenza anche di una sola delle seguenti situazioni:
a) in relazione alle esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;
b) in difetto di una specifica disciplina contrattuale, per le attività discontinue di cui al D.M. 23 ottobre 2004, che rimanda alla tabella delle attività contenuta nel regio decreto n. 2657/1923;
c) in ogni caso con soggetti con meno di 24 anni di età (fermo restando, in tal caso, che le prestazioni devono essere svolte entro il 25° anno), ovvero con più di 55 anni di età.
Prima di procedere oltre, va ricordato che è vietato il ricorso al lavoro intermittente:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive (e non l’intera azienda) nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi di quanto previsto dal decreto legislativo n. 81/2008.
L’assunzione con contratto di lavoro intermittente in violazione di tali disposizioni comporta la conversione in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Esiste poi anche un limite all’impiego con contratto di lavoro intermittente. Infatti l’articolo 34 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, al comma 2-bis (introdotto dal decreto legge n. 76/2013), dispone che, in ogni caso, fermi restando i presupposti di instaurazione del rapporto e con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. A tale proposito va tuttavia ricordato che il conteggio delle prestazioni (400 giornate al massimo, salvi settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, ai quali tale limite non si applica) dovrà essere effettuato, a partire dal giorno in cui si chiede la prestazione, a ritroso di tre anni; tale conteggio tuttavia, secondo quanto previsto dal D.L. n. 76/2013, dovrà tenere conto solo delle giornate di effettivo lavoro prestate dopo il 28 giugno 2013.
Un elemento deve poi essere compreso con molta chiarezza: la nozione di discontinuità e di intermittenza non è definita da alcuna norma; tuttavia, secondo quanto precisato dal Ministero del lavoro nel Vademecum del 2013, è possibile stipulare un contratto di lavoro a chiamata, in presenza delle causali di carattere oggettivo o soggettivo, anche nel caso in cui la prestazione sia resa per periodi di durata significativa. Infatti, è la non esatta coincidenza tra la durata della prestazione e quella del contratto che risulta fondamentale, al fine di individuare i presupposti della discontinuità o intermittenza.
Se la scelta del datore è per un contratto di lavoro intermittente a tempo determinato, va ricordato che non operano le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 368/2001 in materia di contratti a termine, precisando però che è assolutamente sconsigliabile far svolgere la prestazione di lavoro intermittente durante le pause minime (di 10 o 20 giorni) che, salvo diversa previsione del contratto collettivo, è obbligatorio rispettare tra due successivi contratti a termine.
Invece, se il datore opta per un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, può essere previsto l’obbligo del lavoratore di rispondere alla chiamata, a fronte dell’erogazione di una specifica “indennità di disponibilità”. Se è stata prevista tale indennità, in caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore deve informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento (durante il periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto alla indennità di disponibilità); nel caso in cui il lavoratore non provveda a informare tempestivamente il datore, egli perde il diritto all’indennità di disponibilità per un periodo di 15 giorni, salva diversa previsione del contratto individuale. Sempre nel caso in cui venga erogata l’indennità di disponibilità, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità per il periodo che segue il rifiuto ingiustificato, nonché un congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro.
Va poi ricordato che – oltre all’invio dell’Unilav al Centro per l’Impiego e alla successiva comunicazione di chiamata con le specifiche modalità previste dalla norma – il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta (ai soli fini della prova) e deve indicare quanto segue:
a) durata e ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto;
b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e relativo preavviso di chiamata che in ogni caso non può essere inferiore a 1 giorno lavorativo;
c) trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
d) indicazione delle forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonché modalità di rilevazione della prestazione;
e) tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità;
f) eventuali misure di sicurezza specifiche in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore