Il punto sulle collaborazioni a progetto
Forma “atipica” per eccellenza, il lavoro a progetto – la cui applicabilità è stata fortemente ridimensionata dalla Riforma Fornero – continua comunque a rappresentare una modalità contrattuale alla quale, previo il rispetto dei requisiti di legge, è possibile ricorrere a fronte di reali esigenze aziendali. Esaminiamo i vincoli ai quali devono sottostare i committenti
Il quadro che emerge dagli ultimi dati resi disponibili da parte dell’Istat e dell’Inps fotografa in ogni caso, pur se a fronte di un calo dei lavoratori interessati dal contratto a progetto, un largo ricorso a tale forma di lavoro, che vede oggi coinvolte poco più di 500.000 persone, con un guadagno medio di poco superiore ai 10.000 euro all’anno.
Le “regole” per le co.co.pro. sono contenute nell’articolo 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, come modificato dalla Riforma Fornero del 2012 e dal decreto legge n. 76/2013. In buona sostanza, le disposizioni che esporremo tra breve non si applicano:
- agli agenti e rappresentanti di commercio;
- alle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center “outbound” (previo il rispetto dei minimi economici);
- alle prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5.000 euro;
- alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
- ai rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI;
- ai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e ai partecipanti a collegi e commissioni;
- infine, a coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.
Invece, nel caso in cui non ricorra nessuna delle situazioni sopra evidenziate, occorre fare molta attenzione e rispettare tutti gli “indici” posti dal legislatore, pena la conversione in un “normale” contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
E’ dunque anzitutto necessario che il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, stipulato rigorosamente in forma scritta, sia riconducibile a uno o più progetti specifici “determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore”.
Inoltre, il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa
A tale proposito il Ministero ha precisato che il contenuto del progetto deve necessariamente indicare l’attività prestata dal collaboratore in relazione alla quale si attende il raggiungimento di un determinato risultato obiettivamente verificabile. Lo stesso Ministero, nel Vademecum 2013 diramato con la Lettera circolare 22 aprile 2013, ha affermato che il progetto gestito autonomamente dal collaboratore non può sinteticamente identificarsi con l’oggetto sociale del committente, ma deve risultare caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia ontologica e predeterminatezza del risultato atteso, in modo da costituire una vera e propria “linea guida” in ordine alle modalità di espletamento dell’obbligazione del collaboratore. Il progetto può dunque rientrare nell’ambito del ciclo produttivo dell’impresa e nel cd. core business aziendale, ma non può limitarsi a sintetiche e generiche formulazioni standardizzate che identificano la “ragione sociale” descritta nella visura camerale del committente.
In pratica, è assolutamente necessario che il progetto sia dettagliato (ossia specificato) e che miri a ottenere un risultato finale (uno studio su di un determinato mercato, un sito internet, una raccolta di dati e così via) individuato dal committente ma per il cui conseguimento il collaboratore si impegna in prima persona e autonomamente, potendo decidere (nei limiti temporali concordati tra le parti) come e quando occuparsene.
Non solo, è anche previsto che il progetto non possa comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Quanto al compenso, la norma prevede che esso debba essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito, non potendo essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi. In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza ed esperienza sia analogo a quello del collaboratore.
Inoltre, fatto sempre salvo il divieto di concorrenza, salvo diverso accordo tra le parti, il collaboratore a progetto può svolgere la sua attività a favore di più committenti. Non solo, il lavoratore a progetto ha anche diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto.
Particolari tutele sono poi apprestate in caso di malattia e infortunio: il rapporto resta infatti sospeso, senza erogazione del corrispettivo, e si estingue alla scadenza. In ogni caso, il committente può recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a 1/6 della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a 30 giorni per i contratti di durata determinabile. In caso di gravidanza, fermo che non spetta il compenso, la durata del rapporto è prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore