Lavoro e HR

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Il punto sulle collaborazioni dopo il Jobs Act.

Quella dei rapporti di collaborazione “parasubordinata” rappresenta una delle questioni più delicate e controverse nell’ambito dei rapporti di lavoro. Detto subito che il riferimento agli “altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato” è contenuto non già nel codice civile – che all’articolo 2094 si limita a disporre che “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore” – ma nell’articolo 409 del codice di procedura civile, che demanda al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, la risoluzione delle controversie in tale ambito, va evidenziato che il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ha ancora una volta modificato le “regole del gioco”.
 
Le nuove disposizioni in materia sono contenute negli articoli 2, 52 e 54 del nuovo decreto legislativo, entrato in vigore il 25 giugno scorso. Prima di procedere con l’esame delle novità, va tuttavia ricordato che, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1, il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro. Tale norma funge in qualche modo da “faro”, ossia da parametro, alla luce del quale orientare le scelte organizzative dell’impresa, sapendo che – in caso di controversie e di comportamenti difformi ai principi fondamentali previsti per la regolazione dei diversi contratti “atipici” – la sanzione consisterà nella riconduzione del rapporto nell’ambito del lavoro subordinato, con quel che ne deriva in termini di maggiori costi (specialmente contributivi, nel caso in esame), computo dei dipendenti nell’organico e così via.
 
Iniziando quindi la nostra analisi dai contratti in corso, l’articolo 52 del D.Lgs. n. 81/2015 stabilisce che – a partire dal 25 giugno 2015 – le disposizioni di cui agli articoli da 61 a 69-bis del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, 2003 sono abrogate e continuano ad applicarsi solo per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015. Resta tuttavia salvo quanto disposto dall’articolo 409 del codice di procedura civile che, appunto, prevede gli “altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.
 
Ne deriva che sono state abrogate, salvi i contratti già in corso al 25 giugno scorso, non solo le norme relative ai contratti di collaborazione a progetto ma anche quelle che disciplinavano le prestazioni occasionali (ossia i rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nell’anno solare sia superiore a 5.000 euro), nonché le particolari disposizioni relative al lavoro autonomo a partita IVA di cui all’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, in particolare per quanto concerne il sistema delle presunzioni.
 
In pratica, a partire dal 25 giugno 2015 non è più possibile stipulare un nuovo contratto a progetto ma è certamente possibile avviare un rapporto di collaborazione continuativa e coordinata, sapendo però che – dal 1° gennaio 2016 – la situazione si farà più delicata ove non si voglia procedere alla “completa regolarizzazione” di tali rapporti.
 
Infatti, l’articolo 2 del nuovo decreto (che fa riferimento alle “Collaborazioni organizzate dal committente”) dispone che, a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
 
A tale proposito va osservato quanto segue:
a) il committente deve assolutamente evitare di “organizzare” l’attività del collaboratore;
b) il fatto che si applichi la “disciplina del rapporto di lavoro subordinato” non comporta l’automatica trasformazione del rapporto, la norma infatti non dice questo. Quel che pare di capire (ma una risposta definitiva potrà venire solo dalla giurisprudenza, e quindi tra qualche mese o anno) è che il “collaboratore” avrà diritto ai (normalmente più favorevoli) trattamenti economici e normativi spettanti ai “dipendenti”: si pensi alla misura delle retribuzione, alle ferie, alla malattia e così via.
 
Rispetto a tali regole sono state previste alcune, non molte a dire la verità, eccezioni, riepilogate nella tabella che segue.
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Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, l’applicabilità delle norme relative al lavoro subordinato non opera fino al “completo riordino della disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni”. In ogni caso, a partire dal 1° gennaio 2017, le pubbliche amministrazioni non potranno più stipulare contratti di collaborazione.
 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.

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