Lavoro intermittente con o senza indennità di disponibilità
Per avere maggior certezza che il dipendente, se chiamato si presenti in azienda, le parti possono concordare la corresponsione (per i periodi in cui la prestazione non viene resa perché non richiesta da parte del datore di lavoro) dell’indennità mensile di disponibilità, la cui misura, divisibile in quote orarie, è determinata dai contratti collettivi e non è comunque inferiore all’importo fissato con decreto del Ministro del lavoro.
Tale indennità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo, ed è assoggettata a contribuzione previdenziale per il suo effettivo ammontare, in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo.
Fermo che se l’indennità non viene erogata, il lavoratore è libero di non rispondere alla chiamata, se questa è invece prevista dal contratto stipulato tra le parti, in caso di malattia o di altro evento che gli renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore deve informarne tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento, durante il quale non matura il diritto all’indennità: se egli non adempie a tale obbligo perde il diritto all’indennità per un periodo di 15 giorni, salvo diversa previsione del contratto individuale.
Non solo: è anche previsto che il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.