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Licenziamento: le novità del decreto “agosto”

Il decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, ha rinnovato il “blocco” dei licenziamenti collettivi e di quelli individuali per giustificato motivo oggettivo, prevedendo “finestre mobili” in combinazione con le integrazioni salariali e uno specifico incentivo, nonché alcune eccezioni.

Premessa – Vista la crisi economica da Coronavirus, l’articolo 46 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (cd. “Cura Italia”), aveva inizialmente precluso per 60 giorni l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo ex artt. 4, 5 e 24, legge 23 luglio 1991, n. 223 (in tale periodo erano sospese anche le procedure pendenti avviate dopo il 23 febbraio 2020). Inoltre, sino alla scadenza di tale termine, il datore, a prescindere dal numero dei dipendenti, non poteva recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ex art. 3, legge 15 luglio 1966, n. 604. La legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27, ha poi previsto che il divieto di licenziamento collettivo non opera se il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, è riassunto perché (in forza di legge, di CCNL o di clausola del contratto d’appalto) subentra un nuovo appaltatore.

In seguito, l’art. 80 D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (cd. decreto “Rilancio”), come modificato dalla legge n. 77/2020, ha prolungato il divieto di licenziamento da 60 giorni a 5 mesi (quindi fino a lunedì 17 agosto), prevedendo che esso si applichi anche alle procedure di licenziamento per GMO in corso ex art. 7 legge 15 luglio 1966, n. 604 (procedura presso l’ITL per i datori cd. “grandi” e i dipendenti non soggetti al contratto a tutele crescenti).

La stessa norma ha poi aggiunto il co. 1-bis, per cui il datore che, a prescindere dal numero dei dipendenti, dal 23 febbraio al 17 marzo ha licenziato per GMO ex art. 3 legge n. 604/1966, in deroga all’art. 18, co. 10, legge 20 maggio 1970, n. 300, può revocare in ogni tempo il recesso, purché contestualmente richieda il trattamento di cassa integrazione salariale, ex artt. da 19 a 22, dalla data in cui ha efficacia il licenziamento: in tal caso, il rapporto è ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore.

Su tale quadro normativo, di per sé già complesso, si vanno ora a innestare le nuove disposizioni dell’art. 14 del D.L. 14 agosto 2020, n. 104, che da un lato introduce alcune deroghe al divieto di licenziamento e, dall’altro, “abbina” tale divieto alla possibilità di fruire di ulteriori periodi di integrazione salariale o di un nuovo e specifico esonero contributivo.

Deroghe al divieto di licenziamento

Iniziando dalle “eccezioni” al divieto di licenziamento, l’art. 14, co. 3, del D.L. n. 104/2020 dispone che i divieti e le sospensioni disciplinate nei co. 1 e 2 non si applicano nelle seguenti ipotesi:

a) licenziamenti per cessazione definitiva dell’attività (tale intervento era auspicato da più parti, non potendosi obbligare il datore a “tener aperta” l’impresa solo per il divieto di licenziare), conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione (anche parziale), dell’attività, se durante la liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possa configurare trasferimento d’azienda o di un suo ramo ex art. 2112 cod. civ.;

b) presenza di un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che preveda un incentivo alla risoluzione del rapporto, per i soli lavoratori che aderiscono al predetto accordo: a tali lavoratori è riconosciuta la NASpI;

c) licenziamenti in caso di fallimento, quando non vi è l’esercizio provvisorio dell’impresa, o ne è disposta la cessazione: se l’esercizio provvisorio è disposto per uno specifico ramo d’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti settori in esso non compresi.

A queste ipotesi si accompagna quella già prevista ex art. 46 del D.L. n. 18/2020, che riguarda il personale, già impiegato nell’appalto, riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di CCNL o di clausola del contratto d’appalto.

Licenziamento collettivo

Venendo ai divieti, il co. 1 dispone che (salva la cessazione dell’appalto ex art. 46 del D.L. n. 18/2020) ai datori che non abbiano integralmente fruito:

a) delle integrazioni salariali per emergenza da COVID-19 di cui all’art. 1; ovvero

b) dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 3;

del presente decreto, resta precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo ex artt. 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate dopo il 23 febbraio 2020.

Articolo 1 (sintesi) Articolo 3 (sintesi)
I datori che, nel 2020, sospendono o riducono l’attività per COVID19, possono chiedere CIGO, assegno ordinario e CIGD in deroga agli artt. 19-22-quinquies D.L. n. 18/2020, fino a 9 settimane, aumentate di ulteriori 9. Le 18 settimane totali vanno collocate tra il 13.7 e il 31.12.2020. I periodi già autorizzati ex D.L. n. 18/2020, collocati, anche in parte, dopo il 12 luglio sono imputati alle prime 9 settimane. Le ulteriori 9 settimane sono riconosciute solo ai datori cui è stato già interamente autorizzato il precedente periodo di 9 settimane. I datori che chiedono le ulteriori 9 settimane ex co. 1 versano un contributo addizionale determinato in base al raffronto tra fatturato aziendale del I semestre 2020 e del I semestre 2019, pari al: – 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate durante la sospensione o riduzione di attività, per i datori con riduzione di fatturato inferiore al 20%; – 18% della retribuzione per ore non prestate durante la sospensione o riduzione di attività, per i datori che non hanno avuto riduzione del fatturato. Il contributo addizionale non è dovuto dai datori che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% e per chi ha avviato l’attività dopo il 1° gennaio 2019. Ai datori, escluso il settore agricolo, che non chiedono i trattamenti ex art. 1 e che hanno già fruito, in maggio e giugno 2020, dei trattamenti di integrazione salariale ex artt. da 19 a 22-quinquies D.L. n. 18/2020, è riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un massimo di 4 mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite in maggio e giugno, esclusi premi e contributi Inail, riparametrato e applicato su base mensile. L’esonero spetta anche ai datori che hanno richiesto periodi di integrazione salariale ex D.L. n. 18/2020, collocati, anche in parte, in periodi dopo il 12 luglio. Al datore che gode dell’esonero, si applicano i divieti di licenziamento ex art. 14: la violazione comporta la revoca retroattiva dell’esonero e l’impossibilità di chiedere integrazione salariale ex art. 1. L’esonero è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalle norme vigenti, nei limiti dei contributi previdenziali dovuti. L’efficacia della norma è subordinata alla autorizzazione della Commissione europea.

In pratica, al netto delle eccezioni citate in apertura, il datore non può licenziare finché:

a) non ha consumato tutte le nuove 18 settimane di integrazioni salariali Covid-19 (il termine è mobile e va dal 16 novembre al 31 dicembre 2020); oppure;

b) non ha esaurito il nuovo esonero ex art. 3 per i datori che a maggio e giugno hanno fruito di ammortizzatori Covid-19 ma non richiedono altre settimane di integrazione salariale (la fruizione dell’esonero non può andare oltre il 31 dicembre 2020).

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Come dispone l’articolo 14, co. 3, alle condizioni di cui sopra (esaurimento delle altre 18 settimane di cassa o integrale fruizione del nuovo esonero), il datore, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per GMO ex art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e sono altresì sospese le procedure in corso ex art. 7 della medesima legge.

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