Durata del contratto a termine: regole generali e casi particolari
Il contratto di lavoro a tempo determinato è uno degli istituti più utilizzati e, al tempo stesso, uno di quelli maggiormente “interessati” dalle modifiche normative che si sono succedute nel tempo.
Vista la delicatezza della questione – il superamento della durata massima comporta, infatti, la trasformazione del rapporto a tempo in un ordinario contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – facciamo il punto sulla durata massima, alla luce delle recenti precisazioni dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Premessa: le causali – Il decreto legge 12 luglio 2018, n. 87 (legge n. 96/2018) ha, tra le altre modifiche restrittive, re-introdotto in numerose ipotesi l’obbligo del datore di indicare le “esigenze” che lo hanno indotto ad assumere a tempo determinato; l’articolo 19, co. 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, individua tassativamente come segue tali “esigenze”:
- temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
- di sostituzione di altri lavoratori;
- connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Almeno una delle predette condizioni va indicata per iscritto nelle seguenti ipotesi:
- contratto a termine stipulato per più di 12 mesi (anche in somministrazione);
- contratto a termine che, per effetto di una o più proroghe, supera i 12 mesi di durata;
- ogni singolo rinnovo, ossia riassunzione a termine del medesimo lavoratore (dopo aver rispettato le pause intermedie, a prescindere dalla durata del rinnovo).
Durata massima del primo contratto – Il primo (e, volendo, unico) contratto a tempo determinato tra le medesime parti è disciplinato come indicato nella tabella che segue.
Durata | Obbligo di indicare la causale |
Fino a 12 mesi | No. Tuttavia, ove il contratto a termine dia luogo a qualche tipo di agevolazione come per esempio la sostituzione di maternità per datori fino a 19 dipendenti, con sgravio contributivo del 50% sulla retribuzione del lavoratore assunto in sostituzione, la causale va comunque indicata (Min. Lav., circolare 31 ottobre 2018, n. 17). |
Da 13 a 24 mesi | Si, sempre. In caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a 12 mesi in assenza delle così dette “esigenze”, il contratto si trasforma a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi (art. 19, comma 1-bis, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81). |
Oltre i 24 mesi | Non rilevante. Il contratto a termine si converte a tempo indeterminato. |
Durata massima “per sommatoria” di tutti i contratti a termine – Dall’ipotesi di cui sopra va tenuto ben distinto il caso di più rapporti a termine o di somministrazione a termine succedutisi, nel tempo, tra le medesime parti. Infatti, l’articolo 19, comma 2, dispone che, fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i 24 mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione per mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato.
Nota Bene – Qualora il limite dei 24 mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
Il limite “per sommatoria” di tutti i contratti a termine può essere derogato da parte del contratto collettivo. L’articolo 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, prevede che, salvo diversa previsione, ai fini del medesimo decreto, per contratti collettivi si intendono:
- i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Somministrazione a termine – Detto che, nel computo dei 24 mesi totali, salvo diversa previsione del contratto collettivo, vanno inclusi anche i periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a termine, l’articolo 34, co. 2, del D.Lgs. n. 81/2015 dispone che alla somministrazione si applicano anche le norme dell’articolo 19, ossia anche in questo caso, la durata non può superare i 24 mesi in tutto.
Come si contano i mesi di rapporto – Ma come si computano i mesi di lavoro a termine? Semplificando al massimo e supponendo, per semplicità, che non esistano anni bisestili (dato che nulla cambia ai nostri fini), si consideri quanto segue:
- unico contratto a termine dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2020 (con causale): la durata è pari a 24 mesi (di fatto, il rapporto dura 730 giorni);
- assunzione a termine dal 2019 ogni anno per il mese di gennaio (dall’1 al 31) per eseguire l’inventario (supponendo che tale attività rientri tra le esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività): il lavoratore può essere assunto 24 volte, ossia per i 24 mesi di gennaio a partire dal 2019 (di fatto, il rapporto dura 744 giorni);
- assunzione a termine dal 2019 ogni anno per il mese di febbraio (dall’1 al 28) al netto delle questioni sulla causale: il lavoratore può essere assunto 24 volte, ossia per 24 mesi di febbraio a partire dal 2019 (di fatto, il rapporto dura “solo” 672 giorni).
Quelle ipotizzate sono situazioni regolari ma danno luogo a durate (almeno in giorni) assai differenti. Come bisogna procedere se l’assunzione a termine – specie se reiterata – include sia mesi interi che loro frazioni? Ipotizziamo, per esempio, 2 rapporti a termine:
- il primo iniziato il 1° gennaio e concluso il 20 febbraio 2019;
- il secondo iniziato il 1° maggio e concluso il 20 giugno 2019.
Il datore di lavoro quanto deve “conteggiare” rispetto ai 24 mesi massimi di durata?
Premesso che i mesi interi si contano come mesi interi a prescindere dalla loro effettiva durata in giorni, per il conteggio dei periodi di lavoro a termine non coincidenti con 1 o più mesi va adottato il criterio comune secondo il quale, considerato che la durata media dei mesi nell’anno è pari a 30 giorni, 30 giorni vanno considerati l’equivalente di 1 mese.
Nel nostro caso, quindi, i mesi di lavoro a termine sono pari a 3: gennaio e maggio più 30 giorni equivalenti a 1 mese (i 20 giorni di febbraio + i primi 10 giorni di giugno 2019), con un residuo di altri 10 giorni (dall’11 al 20 giugno) che andrà “ripescato e sommato” nel caso di ulteriori assunzioni a termine di quel lavoratore: tale criterio di calcolo è stato adottato dal Ministero del lavoro (cfr. circolare 2 maggio 2008, n. 13).
Stagionali – Il limite “totale” dei 24 mesi non si applica ai lavoratori stagionali, ossia a quelli impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi (anche aziendali): fino all’adozione di tale decreto continuano a trovare applicazione le disposizioni del DPR 7 ottobre 1963, n. 1525.