Periodo di comporto e licenziamento
Il tema del licenziamento in malattia si arricchisce delle indicazioni date da due recenti decisioni della Cassazione.
Licenziamento “anticipato” – Come noto, il dipendente malato non può essere licenziato prima che sia decorso il periodo di comporto, ossia l’arco di tempo stabilito dal contratto collettivo. Ma cosa accade se il datore licenzia prima della fine di tale periodo? Ad avviso delle sezioni unite (Cass. 22 maggio 2018, n. 12568), per i lavoratori soggetti all’art. 18 della legge n. 300/1970, il recesso è nullo e il dipendente ha diritto alla reintegrazione e al risarcimento del danno fino a un massimo di 12 mensilità. Tale orientamento è stato confermato da una recentissima pronuncia della Suprema Corte (Cass. 4 aprile 2019, n. 9458). Attenzione quindi a non licenziare “in anticipo”.
Modalità di calcolo – Problema: il CCNL consente di licenziare il lavoratore dopo 18 mesi di malattia (senza precisare come conteggiare i mesi): se il dipendente si assenta a tale titolo per 545 giorni, il comporto è stato superato? Il licenziamento è possibile?
La risposta viene da una recentissima sentenza della Cassazione, posto che i criteri di calcolo potrebbero essere i seguenti:
- Un mese ha durata convenzionale di 30 giorni e quindi: 30 (giorni) x 18 (mesi) = 540 giorni.
- Si usa il calendario comune e quindi: 365 (giorni): 12 (mesi) x 18 (mesi) = 547,56 giorni.
Nel primo caso il comporto è stato superato e il licenziamento è legittimo, nel secondo no!
La soluzione corretta è la seconda: la durata del comporto si calcola, salvo diversa clausola del CCNL, secondo il calendario comune, anche perché se 1 mese equivalesse a 30 giorni, 1 anno durerebbe solo 360 giorni, e non 365 come invece è (Cass. 8 aprile 2019, n. 9751).
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore